Un comune su dieci in Lombardia è a rischio di inquinamento a causa degli allevamenti. A dirlo la stessa Regione che, alla fine dello scorso anno, ha diffuso una relazione tecnica con una mappa puntellata di rosso: ben evidenziati i 168 comuni dove nel 2018 si è superato il limite legale annuo di azoto per ettaro. Si tratta di un calcolo fatto a tavolino: il Pirellone ha preso in mano l’elenco dei capi allevati in Lombardia e ha calcolato la quantità di azoto prodotta dagli allevamenti. Il carico di azoto al campo è definito per legge in quanto il suo accumulo eccessivo pone i territori a rischio di inquinamento. Eppure, nell’11% dei comuni lombardi il numero dei capi allevati è talmente alto che il limite di legge non viene rispettato.
La nostra Unità Investigativa ha confrontato questa relazione tecnica con il database dei finanziamenti europei per l’agricoltura (PAC). Dal confronto è emerso che nei comuni lombardi “fuorilegge” arriva quasi la metà dei soldi pubblici europei destinati alla regione per la zootecnia, ossia ben 120 milioni di euro.
dell’intero patrimonio suinicolo nazionale è allevato nella regione Lombardia (circa 4,3 milioni di capi) , nonché il 25% dei bovini del nostro paese.
dei comuni lombardi secondo Regione Lombardia nel 2018 superano i limiti di legge per il carico di azoto (168 su 1.507)
dei fondi PAC del 2018 per la zootecnia lombarda (€120 milioni) sono stati destinati ai 168 comuni che sforano i limiti di azoto
L’immagine tradizionale è quella del letame come risorsa, distribuito nei campi come fertilizzante. Tuttavia, dobbiamo immaginarci ogni campo agricolo come una vasca da bagno: infatti, ogni terreno - in base alle sue caratteristiche e al tipo di coltivazione - può assorbire un dato quantitativo di deiezioni animali, oltre il quale è come se strabordasse. Ed è proprio quando l’accumulo è eccessivo, che gli effluenti zootecnici possono diventare un pericolo per l’ambiente e per la salute.
“Alcune indagini hanno evidenziato una relazione tra l'esposizione cronica a nitrati (ndr - derivati dell’azoto) e una maggiore incidenza di cancro negli adulti”, dichiara Carlo Modonesi, membro del Comitato scientifico dell’Associazione medici per l’ambiente (ISDE). Tanto che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), emanazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, li ha inseriti nel gruppo dei “probabili cancerogeni per l’uomo”. Per scongiurare il rischio di cancro, in realtà, “non esistono limiti minimi di sicurezza perché, nel caso specifico, il rischio zero è associato a concentrazioni pari a zero” chiude Modonesi.
Nelle deiezioni provenienti dagli allevamenti intensivi sono contenute grandi quantità di azoto e composti azotati che, attraverso la distribuzione degli effluenti zootecnici come fertilizzante, si trasferiscono sui terreni agricoli e nell’ambiente. Quando l’accumulo di azoto è eccessivo, tra i composti azotati sono proprio i nitrati, in virtù della loro alta solubilità in acqua, che si trasferiscono più facilmente dal suolo ai corpi idrici superficiali e alle falde, mettendo a rischio la qualità delle acque.
Secondo Carlo Modonesi, membro dell'Associazione medici per l’ambiente (ISDE), l'esposizione umana a nitrati e nitriti a livelli superiori ai limiti di sicurezza può essere causa di malattie anche molto gravi, soprattutto a carico di neonati e bambini.
Com'è possibile che i nitrati provenienti dagli allevamenti finiscano a contatto con l’uomo? “Per esempio se l'acquedotto preposto all'approvvigionamento di acqua potabile di una certa città attinge da falde sotterranee che sono state inquinate” spiega l’esperto.
Perché la Regione Lombardia ha deciso di misurare l’impatto delle deiezioni sul suo territorio? Come spiega la Commissione europea nell'ultima Relazione sull'applicazione della Direttiva nitrati, i liquami degli allevamenti, se non correttamente gestiti, possono essere causa di “notevoli rischi per l’ambiente”, soprattutto quando si ha “un numero elevato di capi concentrato in uno stesso luogo”. È il caso della Lombardia, dove si trovano in media quasi un maiale ogni due abitanti e circa 180 suini per chilometro quadrato. Stando alla Commissione europea, un territorio con una così alta densità di animali è esposto a elevati rischi ambientali.
Arpa Lombardia chiarisce che bisogna porre “attenzione ad alcune pratiche agronomiche collegate agli allevamenti perché favoriscono la disponibilità nel suolo di azoto".
Inoltre come ci spiega Pierluigi Viaroli, docente all’Università di Parma ed esperto di eutrofizzazione e qualità delle acque: “Il problema è la densità molto alta di allevamenti in poche zone circoscritte. Quando si comincia ad avere un allevamento da mille capi bovini o da 5-10 mila capi suini, trovare una modalità sostenibile di spandimento delle deiezioni è difficile”. Quindi lo spandimento di effluenti zootecnici, da risorsa utile al terreno agricolo, rischia di diventare un fattore inquinante.
L’Europa ha regolamentato lo spandimento dei liquami con la Direttiva Nitrati (91/676/CEE) fissando il limite di carico di azoto che ogni terreno può assorbire. Proprio tenendo presente questi limiti stabiliti dall’Ue, la relazione tecnica di Regione Lombardia evidenzia come nel 2018 un comune lombardo su dieci (11%) è risultato avere più capi rispetto alla capacità del suo territorio di assorbire l’azoto derivato dagli effluenti zootecnici. Un eccesso di deiezioni - e quindi di carico di azoto - che potrebbe portare a un aumento del rischio di inquinamento ambientale e per la salute pubblica.
I dati forniti dagli enti lombardi offrono alla nostra inchiesta un approfondimento ulteriore, prendendo in considerazione anche il concetto di “Zona Vulnerabile da Nitrati” (ZVN). Nella Direttiva Nitrati, Bruxelles ha chiesto a ogni Paese di classificare i suoi territori in ZVN e non. Le ZVN sono territori “caratterizzati da acque già contaminate o che potrebbero diventare tali in assenza di interventi adeguati”. Per questo motivo, nelle ZVN il limite legale di azoto al campo annuo, derivante dalle deiezioni animali, è fissato a 170 chili/ettaro ossia la metà del limite fissato per i terreni non vulnerabili.
L'Italia è già sotto procedura di infrazione da parte della Commissione europea (n. 2018/2249) proprio per mancato adeguamento alla Direttiva nitrati. In particolare Bruxelles contesta carenze nella designazione delle ZVN, nei monitoraggi delle acque, e nell'adozione di misure supplementari per contrastare l’inquinamento da nitrati.
Le ZVN devono quindi essere maggiormente tutelate dal punto di vista ambientale, cosa che invece non sempre accade. Stando ai dati della relazione tecnica di Regione Lombardia nel 43% dei comuni lombardi in ZNV il carico di azoto supera i limiti fissati.
“Il limite di 170 chili/ettaro di azoto è superato in gran parte delle aree agricole di pianura delle province di Bergamo e Brescia, nella parte sudoccidentale e nordoccidentale (al confine con la provincia di Brescia) della provincia di Mantova, nel settore settentrionale della provincia di Cremona e in alcuni comuni della provincia di Lodi - si legge sui documenti ufficiali della Regione - in alcuni comuni viene frequentemente superato anche il limite di 340 chili/ettaro”.
Nei comuni che hanno sforato, dunque, “se l’utilizzo e la gestione dei reflui zootecnici non sono effettuati correttamente si può incorrere in danni all’ambiente”, spiega Sabrina Piacentini, consulente ambientale per diversi comuni lombardi, e precedentemente parte del pool del Nucleo intervento tutela ambientale (NITA). Il rischio, continua Piacentini, è che ci sia “un inquinamento dell’aria e del suolo, dove si possono accumulare elementi minerali poco solubili, metalli pesanti e fosforo”, ma si può arrivare anche a una contaminazione “dell’acqua superficiale e della falda con possibile compromissione della potabilità e aumento del grado di eutrofizzazione”. Eppure, è proprio in questi comuni che, secondo la nostra analisi, finisce la maggior parte dei finanziamenti europei destinati al settore zootecnico della Lombardia.
Nonostante le prescrizioni della Direttiva Nitrati, un comune lombardo su dieci non le rispetta. Eppure, paradossalmente, i fondi dell'Unione europea continuano a finanziare soprattutto gli allevamenti che si trovano nei comuni che hanno sforato il limite annuo di azoto per ettaro.
A renderlo noto un’inchiesta della nostra Unità Investigativa che, dopo mesi di richieste e un accesso generalizzato FOIA, ha ottenuto dall’Organismo pagatore di Regione Lombardia il database dei fondi europei della Politica Agricola Comune (PAC) erogati alle aziende lombarde. Degli oltre 250 milioni di euro che nel 2018 sono stati destinati agli allevamenti della Lombardia, ben 120 milioni (quasi il 45%) sono finiti nei 168 comuni che il Pirellone segnala come territori dove è stato sforato il carico legale di azoto.
La PAC (Politica Agricola Comune) è una politica comune ai Paesi dell'Unione europea a sostegno della produzione e del reddito agricoli, alla quale è dedicato quasi il 40% del bilancio annuale dell’Ue. Tra gli obiettivi dichiarati, in particolare per la Pac 2021-2027 attualmente in discussione, anche la salvaguardia ambientale e la lotta ai cambiamenti climatici. Obiettivi che finora non sembrano essere stati centrati dato che, secondo la stessa Commissione, dal 2012 le emissioni agricole di gas serra in Europa sono in costante aumento.
Abbiamo incontrato grossi ostacoli nell’ottenere i dati delle aziende beneficiarie dei finanziamenti PAC da parte di AGEA, l’Agenzia nazionale per i pagamenti dei fondi Ue in agricoltura. Infatti, nonostante siano state fatte diverse richieste di accesso civico generalizzato (FOIA), AGEA non ha concesso di consultare l’intero database di beneficiari Pac. E’ necessario, invece, poter disporre di una banca dati online accessibile e trasparente, dato che stiamo parlando di gestione di fondi pubblici.
Nei documenti si scopre inoltre che i 40 comuni lombardi in cui gli allevamenti hanno ricevuto più fondi rientrano tutti nelle ZVN e più dell’80% di essi ha sforato il limite di carico di azoto. Inoltre, stando al Sistema Informativo Lombardo Silva, tra dicembre 2018 e gennaio 2020, in 33 di questi comuni sono stati approvati almeno dieci progetti di costruzione o di ampliamento di allevamenti. Un dato sottostimato poiché non contempla i progetti minori che non entrano nel sistema di valutazione regionale e provinciale.
La PAC, e nello specifico i finanziamenti europei alla zootecnia, potrebbe avere un ruolo nella riduzione dell’impatto degli allevamenti. A dirlo Angelo Frascarelli professore di Economia ed Estimo Rurale presso l’Università di Perugia, tra i massimi esperti della PAC. “Per anni, soprattutto dal 1964 al 2004, la Politica Agricola Comune ha finanziato gli allevamenti intensivi. L’ottica era quella di incentivare la produzione poiché era il cibo ad essere scarso. Adesso, invece, la risorsa scarsa è l’ambiente”. “Se produco di più, inquino di più”, prosegue Frascarelli, eppure “i territori con zootecnia intensiva continuano a ricevere molti finanziamenti della PAC perché hanno mantenuto i diritti storici”.
L’accesso ai finanziamenti europei dovrebbe essere subordinato al rispetto da parte degli allevamenti di rigide norme ambientali, invece “il problema è l’efficacia dei controlli, molti sono sulla carta più che sul campo, e spesso risultano inefficaci” prosegue Frascarelli. In Lombardia, le ispezioni in loco si effettuano solo nel 4% degli allevamenti mentre solo l’1% dei trasporti di refluo è ispezionato.
Lo scorso dicembre la Regione Lombardia ha fatto richiesta di innalzare ulteriormente i limiti in deroga dello spandimento di liquami. La Direttiva nitrati, infatti, permette la possibilità di arrivare a 250 chili/ettaro di azoto, su richiesta delle singole aziende, anche nelle aree vulnerabili, grazie alla deroga che è stata negoziata con Bruxelles dalle regioni Lombardia e Piemonte.
“Abbiamo chiesto all’Unione europea che il limite allo spandimento venga innalzato oltre l’attuale di 250 chili/ettaro concesso fino a oggi per le aziende in deroga” dichiara Fabio Rolfi, assessore all’agricoltura, alimentazione e sistemi verdi della Regione Lombardia. Il motivo? Perché il numero dei capi allevati in Lombardia non sembra diminuire e di conseguenza neppure la produzione di reflui. Una richiesta di questo genere mira esclusivamente ad “agevolare le aziende allo smaltimento del letame” e non tiene in adeguata considerazione gli impatti sull’ambiente e sulla salute.
“Di fronte a una situazione di carichi di azoto già eccessivi, la soluzione non può essere una ulteriore deroga. Questa analisi mette chiaramente in luce come l’origine del problema sia l’eccessivo numero di animali allevati, soprattutto se a concentrazioni così elevate come avviene in Pianura Padana”, dichiara Federica Ferrario, responsabile Campagna Agricoltura e Progetti Speciali di Greenpeace Italia.
Se da un lato sono dunque necessari maggiori controlli e trasparenza nell'erogazione dei sussidi, è quanto mai urgente che la Politica agricola comune e le istituzioni adottino un cambiamento radicale, destinando i fondi pubblici alla transizione degli allevamenti intensivi verso metodi di produzione ecologici, e rompendo il tabù dell’aumento della produzione ad ogni costo. “Moltissime evidenze indicano come, per rispettare l’Accordo di Parigi ed evitare il disastro ambientale e climatico - continua la responsabile Campagna Agricoltura - sia necessario ridurre drasticamente produzione e consumi di carne e latticini a vantaggio di diete maggiormente basate su prodotti di origine vegetale”. In Italia dovremmo valorizzare le tante produzioni di qualità su piccola scala, per renderle ancora più sostenibili e resilienti anche a crisi come quella legata al Covid-19. “È il momento di agire per produrre meno e meglio - conclude Federica Ferrario - in termini di qualità dell’ambiente, del cibo e anche delle condizioni di lavoro del settore agricolo”.
Di Elisa Murgese e Diego Gandolfo Unità Investigativa di Greenpeace
STO CARICANDO