Fast fashion, la moda ultrarapida che distrugge il pianeta

Un’industria insostenibile e inquinante

Abiti venduti e resi subito. Accessori progettati per durare una stagione soltanto e destinati a rompersi nel giro di poche settimane per poi finire in discarica o nel Sud del mondo. Con produzione di massa, bassa qualità e prezzi irrisori, l’industria del fast fashion genera enormi quantità di rifiuti e inquinamento. E dietro le false promesse di sostenibilità, spesso si nasconde il greenwashing e un impatto ambientale e sociale devastante.

STOP FAST FASHION

Chiedi insieme a noi un'immediata azione per porre fine al fast fashion e promuovere un'industria tessile a misura di pianeta!

Il fast fashion in 3 numeri

25%

È la percentuale di nuovi vestiti prodotti ogni anno che rimane invenduta e viene gettata.

1 secondo

Ogni secondo un camion di abiti scartati viene bruciato o buttato nelle discariche.

-1%

È la quantità di vestiti che viene effettivamente riciclata in nuovi capi di abbigliamento.

Abbigliamento usa e getta

Ogni anno soltanto nell’Unione Europea vengono gettate via 5 milioni di tonnellate di vestiti e calzature (circa 12 chili per persona) e l'80% di questi finisce in inceneritori e discariche. Meno dell'1% dei vecchi vestiti, infatti, viene utilizzato per creare nuovi capi. Quando non finiscono nelle discariche e negli inceneritori europei, i capi di abbigliamento vengono esportati in altri Paesi e da qui se ne perdono le tracce.

Ci vestiamo di plastica

Nylon, acrilico, poliestere: oltre il 60% delle fibre tessili usate per produrre i nostri abiti sono fibre sintetiche e molte derivano dalla raffinazione di idrocarburi come gas e petrolio
Il poliestere, derivato dal petrolio, già dopo i primi lavaggi comincia a rilasciare microplastiche, che finiscono nei mari e poi, risalendo la catena alimentare, anche all’interno del nostro cibo. L’industria fossile cresce e prolifera anche grazie al fast fashion.

Il lato oscuro dei marchi più famosi

Shein

Secondo dati del 2022 molti dei suoi vestiti contengono sostanze tossiche, in alcuni casi in quantità superiori ai limiti di legge, in particolare ftalati fino al 600% del limite legale.
(fonte: indagine greenpeace 2022)

Nike

Ralph Lauren

Diesel

Un’indagine del 2022 ha dimostrato che i rifiuti provenienti dalla produzione di abiti e calzature prodotti per questi tre marchi venivano bruciati in fornaci per mattoni in Cambogia, esponendo i lavoratori coinvolti a fumi tossici.
(fonte: indagine Greenpeace/Unearthed)

Amazon

Temu

Zalando

Zara

H&M

OVS

Shein

ASOS

Gli abiti resi dopo l'acquisto sui più famosi e-commerce percorrono fino a 10mila chilometri e spesso non vengono più rivenduti.
(fonte: indagine Greenpeace 2024)

La nostra indagine sui resi online: vestiti che percorrono fino a 10mila km

Abiti acquistati e poi resi più volte. Pacchi di vestiti che viaggiano anche per decine di migliaia di chilometri tra l’Europa e la Cina, senza costi per l’acquirente e con spese irrisorie per l’azienda produttrice, ma con enormi impatti ambientali: è quanto è emerso dall’indagine condotta dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia che per quasi due mesi, in collaborazione con la trasmissione televisiva Report, ha tracciato i viaggi compiuti da alcuni capi d’abbigliamento del settore del fast-fashion acquistati e resi tramite piattaforme di e-commerce, svelando una filiera logistica schizofrenica, i lunghissimi viaggi e l’impatto ambientale in termini di emissioni di CO2 equivalente.

Sostenibilità?
È solo Greenwashing!

Le aziende del fast fashion promuovono la loro presunta sostenibilità e il rispetto di migliori condizioni di lavoro dichiarando nelle etichette che i loro capi d’abbigliamento sono prodotti con un minore impatto ambientale. Spesso però si tratta solo di greenwashing. La nostra indagine su 29 marchi ha mostrato la verità, e brand conosciuti in tutto il mondo come Benetton Green Bee, Calzedonia Group, Decathlon Ecodesign, H&M Conscious e Zara Join Life, solo per citarne alcuni, hanno ricevuto il bollino rosso rispetto alla credibilità delle dichiarazioni in etichetta.

Le nostre richieste

Al governo italiano chiediamo di:

1 Regolamentare il fast fashion, vietando la pubblicità anche sui social delle aziende promotrici di un modello di business vorace, con notevoli impatti sociali e ambientali.

2 Varare al più presto un sistema di responsabilità estesa del produttore che imponga alle aziende di farsi carico dell’intero ciclo di vita dei prodotti, anche quando diventano rifiuti.

3 Imporre alle aziende di fornire informazioni trasparenti sulla loro catena di approvvigionamento e di produzione

4 Imporre alle aziende di mettere in commercio abiti che siano durevoli, riparabili, disegnati per essere riciclabili, prodotti senza sostanze chimiche e ricorrendo a fibre riciclate.

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